PARAFRASI I: http://maturita.studenti.it/forum/maturita2007/message.php?mess=12755&inth=0
TEMA SVOLTO I: http://maturita.studenti.it/forum/maturita2007/message.php?mess=12325&inth=0
ANALISI DAL BIGNAMI:
Il canto XI del Paradiso, che è il secondo di quelli consacrati al ciclo del Sole, si può definire il canto di S Francesco.Esso è un canto di commossa e candida poesia, in cui Dante, che nella sua adolescenza frequentò forse le scuole dei Francescani in S. Croce, e che, anche se non prese il cingolo del Terz'Ordine, si può considerare francescano per tutto ciò che la sua poesia ha di mistico e di profetico, scioglie il suo inno di ammirazione e di riconoscenza verso il santo che in secoli di ferro, bandì agli uomini il vangelo della povertà e dell'amore.
Dante, ripensando allo spettacolo stupendo descritto alla fine del canto precedente, non può trattenersi dal compiangere gli uomini che, dimentichi di pensare al cielo e ai suoi gaudi ineffabili, si lasciano consumare l'anima dalle cose vane del mondo.
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O insensato affanno degli uomini (ma la parola mortali fa pensare che tale affanno è tanto più vano in quanto tutti dobbiamo morire), quanto falsi ragionamenti sono quelli che ti fanno volgere il pensiero alle cose del mondo!L'apostrofe dolorosa ricorda, più che un verso di Lucrezio (II, 21) o di Persio (I, 1), un famoso passo dell'Ecclesiaste (I, 14-15): "Io osservai tutto quello che si fa sotto il sole e vidi che tutto è vanità".Ecco infatti ciò che accade sulla terra, mentre il poeta si trova con Beatrice nel cielo del sole:
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Chi studiava il diritto ("iura", parola latina molto opportuna, perché i giuristi si servono spesso di termini latini), chi la medicina ("aforismi", perché i medici imparavano la loro arte sugli Aforismi di Ippocrate", chi mirava al sacerdozio (inteso, naturalmente, come mezzo di lucro), chi a governare con la forza o con la frode (forse allusione, come vuole il Casini-Barbi, "a tutti i faccendieri... che nei consigli di Firenze, traevano alle loro sentenze i più dei cittadini", come ad es Corso Donati, Baldo d'Aguglione etc), chi a rubare e chi ad arraffare cariche pubbliche (non a caso, dopo il rubare, vengono subito le cose pubbliche), chi infine si affannava per soddisfare i piaceri del corpo, e chi preferiva rimanersi in ozio; mentre - si noti l'intima e gloriosa soddisfazione - io, libero da tutte queste miserie, mi trovavo con Beatrice, la guida più dolce e più cara, accolto tanto gloriosamente (l'avverbio, che deve essere scandito in due parti, si prende quasi tutto il verso, dando suoni alti e melodiosi) dai Beati del cielo."tutto il passo - osserva il Grabher - è fortemente battuto dagli accenti, e in duro rilievo sono le immagini principali fino a che, nell'ultima terzina, la visione del cielo si slarga liberatrice in un melodico incanto; e sciolto si rileva posponendosi alla fine del verso, e gloriosamente scandisce e rappresenta trionfale la catarsi delle folli 'cure' terrene".
Il poeta riprende ora la narrazione dal punto in cui, dopo il discorso di S. Tommaso, la corona degli spiriti sapienti aveva ricominciato a danzare e a cantare.Appena ciascuno di essi fu tornato al posto che occupava prima che S. Tommaso ragionasse con Dante (cioè appena compiuto un giro di danza), si fermò e rimase immobile come una candela fissa sul candeliere:
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La similitudine del candeliere e della candela (gli antichi dicevano indifferentemente "candelo" e "candela") ha - secondo il Bertoldi - una duplice ragione di essere, ché la parte superiore del santo, corrispondente alla faccia, è più splendida che il resto, e questi dottori furono come luminosa fiamma a stenebrare l'ignoranza degli altri".Ed ecco l'anima di S.Tommaso, che, sorridendo (il sorriso - come sempre - vien significato da una maggior luce), riprende a parlare dichiarando di leggere in Dio ciò che a Dante cagione di pensare:
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E S. Tommaso si accinge a sciogliere i dubbi che le sue parole, nel canto precedente, avevano sollevato nel Poeta:
[21] - [27]
TU dubiti - egli dice - e vuoi che il mio parlare si chiarisca ("ricerna", cioè passi per uno staccio più sottile) in così aperto e ampio discorso, che si adatti ("sterna", dal lat sternere, stendere) al tuo intendimento, là ove disse poco fa "U ben s'impingua" (X, 96), e dove disse "non surse il secondo" (X, 114); e qui è necessario procedere con le debite distinzioni.L'ultimo verso allude forse al metodo del ragionamento tomistico, fondato sulla frequenza delle distinzioni, tanto che - scrive il Pietrobono - "rappresentano l'Aquinate con l'indice e il pollice della mano sinistra staccati, com euqnado contiamo, ossia nell'atto di dire: distinguo".S. Tommaso, a proposito del primo dubbio, incomincia un ragionamento che, a prima vista, può sembrare non avere alcuna relazione col dubbio medesimo, ma che, verso la fine del canto (vv 118 sgg), ci darà come conseguenza la piena esplicazione di esso.Egli spiega che la Provvidenza, che governa il mondo col suo imperscrutabile consiglio, per venire in soccorso della Chiesa, che Cristo sposò col suo sangue, fece sorgere in favore di lei due capi, S. Francesco e S. Domenico, i quali la guidassero per il retto cammino:
[27] - [36]
La chiesa, alla fine del secolo XII, era fieramente travagliata dalle eresie e tutta dedita alle cure terrene, epr cui apparve veramente provvidenziale lìapparizione di S. Domenico, che la rese più "sicura" combattendo le eresie, e di S. Francesco che la rese più "fida" riconducendola ai costumi evangelici di povertà e di carità; proprio come - osserva Dante - due guide che, standole ai fianchi ("quinci e quindi"), ne vigilassero meglio il cammino.S. Tommaso delinea nettamente, in una terzina vigorosamente incisiva, il carattere essenziale di questi due "principi":
[36] - [39]
S. Francesco fu, per l'ardore della carità, un Serafino; S. Domenico, per la sua sapienza, risplendette, di luce come un Cherubino.Naturalmente, essendo la carità superiore alla scienza, tanto che i Serafini costituiscono la somma gerarchia angelica e i Cherubini la gerarchia immediatamente inferiore, ne viene di conseguenza che Dante attribuiva a S. Francesco un merito maggiore che a S. Domenico; e infatti, mentre S. Francesco sarà nominato ancora tre volte nel Paradiso (e l'ultima volta nell'Empireo, sopra tutti i fondatori di ordini religiosi), S. Domenico, dopo il canto seguente, non sarà più nominato.S. Tommaso, dopo aver glorificato i due Santi, dichiara che egli verrà ora a parlare di S. Francesco, perché chi loda l'uno loda anche l'altro, avendo essi operato per il medesimo fine:
[39] - [42]
Non deve sorprendere il fatto che S. Tommaso, domenicano, prende a lodare S. Francecso (come poi, per simpatia, S. Bonaventura, francescano, prenderà a lodare S. Domenico), sia poerché Dante volle osservare la consuetudine, seguita dai due Ordini, che, nelle rispettive feste dei due santi, un francescano facesse il panegirico di S. Domenico nelle chiese dei domenicani, e un domenicano pronunciasse quello di S. Francesco nelle chiese francescane; sia perché egli volle che lìesempio servisse di monito ai francescani e ai Domenicani, sempre discordi per brama di preminenza; sia infine perché - come osserva il Bertoldi - S. Tommaso aveva all'università di Parigi scritta un'apologia dell'Ordine francescano e S. Bonaventura aveva sempre nelle sue opere parlato con molta lode dell'Ordine domenicano.
S. Tommaso, prima di cominciare il vero e proprio elogio del santo, si trattiene con compiacenza a descriverei lluogo dove ebbe i natali:
[42] - [51]
I verso, densi di minute ed esatte allusioni geografiche e storiche (infallibile testimonianza che Dante vide personalmente i luoghi descritti), determinano la posizione di Assisi, città dell'Umbria, posta tra il fiumicello Topino e il fiume Chiascio ("l'acqua che discende" ecc), che scaturisce dal colle Ingino, dove il beato Ubaldo Baldassini, vescovo di Gubbio, si ritrasse a vivere nella sua giovinezza. Tra questi due fiumi scende, fertile di ulivi e di viti, la costa occidentale del monte Subasio, dalla quale la città di Perugia, che è posta a poca distanza dal monte d'Assisi, risente verso oriente, dov'è Porta Sole (che oggi più non esiste), il freddo d'inverno e il caldo d'estate; mentre la costa orientale, ripida e incolta ("grave giogo"), scende verso le città di Nocera e di Gualdo Tadino, le quali, in tal modo, piangono la loro infelice posizione geografica.Su questa costa occidentale del Subasio, proprio là dove si fa meno ripida (cioè in Assisi), nacque un sole così luminoso, come il vero sole ("questo", poiché S. Tommaso si trova nel cielo del sole), quando nella stagione estiva ("tal volta") nasce dal fiume Gange.L'"alto monte" è non soltanto il Subasio, ma - come dimostra il Bertoldi - tutto il gruppo orografico che da esso prende nome, sia perché monte in Dante vale anche gruppo o catena, sia perché il gruppo del Subasio è appunto determinato e chiuso dai fiumi Topino e Chiascio, sia per altre ragioni.Il "grave giogo" allude, in senso geografico, alla costa orientale del Subasio, ripida e incolta, che in tal modo forma antitesi con la "fertile costa" dellìaltro versante; ma altri intendono, in senso politico, l'oppressione che i Perugini, tra il secolo XIII e XIV, esercitarono sulle città di Nocera e di Gualdo Tadino.La metafora del sole, per designare S. Francesco, non è propria di Dante, ma si trova già in un compendio della Leggenda di Tommaso da Celano.S. Tommaso, che si compiace particolarmente di questa similitudine, vi insiste con una certa enfasi: [51] - [54]
"Ascesi", per Assisi, ricorre spesso negli scrittori del tempo di Dante, ma - osserva questi per bocca di S. Tommaso - questo nome non esprime tutto, e, a parlar propriamente, bisognerebbe dire "Oriente".La rispondenza tra il Sole, che deisgnerebbe S. Francesco, e l'Oriente, che designerebbe Assisi, è propria di Dante, poiché, sebbene S. Bonaventura avesse già applicato al Santo le parole dellìApocalisse (VII, 2), ed altri avessero osservato che "la città di Assisi è posta ad oriente", nessuno era giunto alla conseguenza di Dante.S. Tommaso, dopo questo proemio geografico, incomincia a narrare la vita del Santo, ma, con finissimo accorgimento, non ricorda la prima giovinezza di lui, mondana e dissipata, e viene senzìaltro al tempo della conversione, continuando sempre nellìimmagine del sole:
[54] - [57]
Come il sole diffonde sulla terra il suo magico calore, così S. Francesco, in quei secoli di ferro, tormentati da miserie di ogni genere, rinnova le menti ed i cuori, facendo fiorire una nuova grande primavera.S. Tommaso si sofferma particolarmente a parlare delle mistiche nozze di S. Francesco con Madonna Povertà (in cui Dante, che vedeva nella cupidigia la ragione prima del male del mondo, trovava lìaspetto più singolare ed efficace de movimento francescano), e, prima di tutto, ci dipinge in due mirabili terzine lo SPoso:
[57] - [63]
S. Francesco, come narrano i biografi, per riparare la chiesetta di S. Damiano, vendette alcuni panni ed un cavallo che appartenevano al padre, per cui questi, incollerito, lo citò dinnanzi al vescovo Guido Di Assisi, affinché rinunziasse ad ogni eredità; e Francesco non solo fece con animo lieto tale rinuncia, ma, innanzi al vescovo e al popolo tutto, si spogliò degli abiti che indossava e li restituì al padre, esclamando: "Fino ad ora chiamai te padre in terra! d'ora in poi io posso sicuramente dire: Padre nostro che sei nei cieli, presso il quale ho riposto ogni tesoro ed ogni fiducia di speranza ho collocato".La "Donna", co dura ad amarsi, è la Povertà, di cui l'Aquinate non dice il nome, "come volesse - osserva Pietrobono - uniformarsi a coloro che, vedendo nella povertà una delle vergogne più gravi, rifuggono persino dal nominarla".L'espressione "in guerra ... corse" esprime efficacemente l'asprezza della lotta che Francesco sostenne col padre, e, nello stesso tempo, lìansia e lìardore di lui.La "spirital corte" è la curia episcopale di Assisi, nella quale Francesco, "coran patre", rinunziò ad ogni possesso.S. Tommaso si indugia poi, per tre terzine, sopra la figura della Sposa, tracciandone la storia da Cristo a S. Francesco:
[63] - [72]
La Povertà, dopo la morte di Cristo ("il primo marito"), rimase per più di mille e cento anni, fino a S. Francesco, disprezzata ("dispetta") e ignorata ("oscura"), senza invito a nuove nozze (vi è un po' di esagerazione, perché molti santi, prima di S. Francesco, amarono la Povertà; ma, invero, nessuno l'ebbe ad amare così intensamente come Cristo e S. Francesco); ne valse (a farla amare) il fatto che Giulio Cesare, il quale fece paura a tutto il mondo, la trovò tranquilla con Amiclate; né il fatto che si mostrò costante e fiera ("feroce" è in senso buono, come in altri tecentisti e come già in latino) nell'amore di Cristo, così che, quando Maria rimase ai piedi della croce, essa con Cristo salì sulla medesima (Cristo, come è noto, morì ignudo).Amiclate fu un povero pescatore, che - secondo narra Lucano - fidando nella sua povertà dormiva con aperto l'uscio della sua capanna durante i torbidi della guerra civile tra Cesare e Pompeo: e rimase imperturbato quando Cesare gli capitò improvviso in casa. L'episodio piacque a Dante, che lo ricorda nel convivio.S. Tommaso, che finora, per sei terzine, ha parlato copertamente dei rapporti tra la Povertà e S. Francesco, sembra egli stesso rendersi conto dell'artificio di tale procedimento, e, per ricondurre il discorso a maggior naturalezza e semplicità, ne avverte il lettore:
[72] -[75]
Poi passa a parlare dei discepoli del Santo e della sua mistica Sposa:
[75] - [84]
La prima terzina ha dato luogo, per la sua ambiguità, a tre interpretazioni:a) alcuni, considerando i primi due versi come tutto un soggetto di "facieno", spiegano "la loro concordia, i loro lieti sembianti, il loro reciproco amore, la meraviglia (con cui si guardavano, come sem - dice il Parodi - per la prima volta godessero l'uno della vista dell'altro), e la dolcezza dei loro sguardi, facevano sì che tutte queste cose fossero in altri cagione di santi pensieri".b) altri, considerando il primo verso come soggetto di "facieno" e il secndo come soggetto di "essere", spiegano: "la loro concordia e i loro lieti sembianti facevano sì che lìamore, la meraviglia e la dolcezza dei loro sguardi fossero in altri cagione di santi pensieri".c) altri infine, considerando il secondo verso come soggetto di "facieno" e il primo verso come soggetto di "essere", spiegano: "l'amore, la meraviglia e la dolcezza dei loro sguardi facevano sì che la loro concordia e i loro lieti sembianti fossero in altri cagione di santi pensieri".La prima itnerpretazione si presenta molto naturale e psontanea, ma - come avverte il Vandelli - i termini del primo verso sono preceduti da articolo e da pronome possessivo, mentre quelli del secondo ne mancano, e tale diversità pare quasi un segno esteriore dell'avere il Poeta distinto il primo dal secondo aggruppamento.La seconda e la terza interpretazione mantengono invece netta tale distinzione e danno un senso più soddisfacente.Frate Bernardo da QUitavalle, che troviamo nominato nella seconda terzina, fu il primo discepolo di S. Francesco.Egli fu un ricco e nobile cittadino di Assisi, che, distribuiti i suoi beni ai poveri, si scalzò ad esempio del maestro e divenne tanto fervido amatore della povertà che gli parve d'aver tardato ad abbracciarla.Frate Egidio da Assisi fu il terzo discepolo di S. Francesco (Dante non nomina Frate Pietro, il secondo discepolo, o perché morì prima del fondatore, o perché non ne conosceva il nome, che è taciuto anche in Tommaso da Celano e in S. Bonaventura).Egli scrisse il libro Verba aurea e morì a Perugia nel 1273.Frate silvestro da Assisi fu il quinto discepolo di S. Francesco.Egli era già prete, e così avido di denaro che si fece pagare due volte da Francesco le pietre che gli aveva venduto per il restauro di S. Damiano; ma una volta, avendo sognato che un dragone minacciava la sua città e n'era cacciato da una croce che usciva dalla bocca del Santo, si pentì e si fece suo discepolo.S. Tommaso, proseguendo nel suo discorso, viene poi a parlare delle approvazioni pontificiali, che riconobbero e consacrarono l'Ordine francescano:
[84] - [99]
Nel 1210 S. Francesco, dopo aver radunato intorno a sè undici discepoli (che insieme a lui ugualiavano il numero degli Apostoli), si recò con essi a Roma, per ottenere dal pontefice Innocenzo III lìapprovazione della propria regola; ma trovò forti opposizioni nella Curia romana, perché il Pontefice con altri cardinali asseriva che essa era troppo rigida; ma quando vide in un primo sogno un'umile palma che rapidamente cresceva in bellissima pianta, e in un secondo sogno la basilica di S. Giovanni in Laterano che minacciava rovina e il poverello di Assisi che la sorreggeva sulle spalle, non esitò a concedere lìapprovazione orale, sia pure con molte riserve (questa prima regola, purtroppo, non ci è pervenuta).Nel 1223, dopo che i discepoli si furono moltiplicati (nel 1218, quando fu tenuto alla Porziuncola il famoso "capitolo delle stuoie" erano già circa 5000), S. Francesco ottenne dal papa Onorio III anche la definitiva approvazione scritta.S. Tommaso parla con molta semplicità dellì'amore che legava la giovane famiglia francescana, in cui S. Francesco era non solo padre per l'affetto, ma maestro per l'esempio e l'insegnamento, e in cui la rude disciplina era simboleggiata dalla rozza corda dei poveri di quel tempo (ma la parola "capestro" ricorda il cordone con cui si legano le bestie, e fa pensare che il santo soleva chiamare il corpo "frate asino"); si eleva ad un tono maestoso e grande, quando mette in rilievo lìeroica volontà di S. Francesco, che, né per il fatto di essere figlio di un umile mercante, né per il fatto di apparire sommamente spregevole ("a maraviglia", cioè da far meravigliare i riguardanti), non sentì la vergogna gravargli la fronte, ma con regale dignità manifestò al Pontefice il suo arduo proponimento; e infine, dopo aver toccato il sublime nell'accenno alla mirabile vita di S. Francesco e alla gloria celeste che essa richiama, ritorna al tono sommesso, parlando della seconda e definitiva approvazione di Onorio, la quale fu, per la santa volontà di S. Franecsco, pastore di anime, come un'incoronazione trionfale.L'espressione "per essere fi' (apocope di figlio) di Pietro Bernadone" allude agli umili natali, sia perché il padre di francesco non fece parte della nobiltà di Assisi ed era in fondo un semplice mercante di panni, sia perché tale senso ha un passo di S. Bonaventura e un altro del Fioretti.La frase "la cui mirabil vita" ecc ricorda probabilmente un detto biblico: "non a noi signore, non a noi, anzi al tuo nome dà gloria, per la tua benignità e verità", ed è generalmente intesa: "la cui vita mirabile si canterebbe, meglio che agloria della su apersona, a gloria del cielo".Il Bertoldi, rinnovando un'interpretazione antica, spiega invece: "una tal serafica vita, meglio che laggiù, come si usa, nei cori dei frati, meglio sarebbe cantata tra i cori angelici negli altissimi cieli, in faccia a Dio stesso, come l'esaltazione più degna dellìumana virtù"; ma è spiegazione troppo sottile.S. Tommaso, dopo un accenno alla predicazione di S. Francesco in Egitto, per il desiderio di spargere il buon seme evangelico tra gli infedeli, passa a parlare del terzo ed ultimo sigillo, che S. Francesco, dopo i riconoscimenti di Innocenzo e di Onorio, ricevette direttamente da Cristo, e che non fu più sigillo orale o scritto, ma sigillo di sangue e di martirio:
[99] - [108]
Nel 1219 S. Francesco, in compagnia di dodici frati, si recò in Oriente, e, fattosi fare prigioniero dai Saraceni, tentò invano di convertire il Sultano Malek al Kamel, il quale, preso forse da simpatia verso quest'uomo poveramente vestito, rimase turbato e ordinò che non gli fosse fatto alcun male.Nel 1224 S. Francesco, trovandosi sull'aspro monte della VErna o Alvernia (nell'Appennino toscano, tra le sorgenti del Tevere e quelle dellìArno) per far penitenza, chiese a Gesù Cristo di fargli provare i dolori della sua passione; e Cristo, apparsogli sotto lìaspetto di un Serafino, gli impresse nelle mani, nei piedi e nel costato, i segni delle cinque piaghe (dette le sacre stigmate) che il santo portò fino alla morte, avvenuta due anni più tardi."In un periodo - osserva il Grabher - che si distende per nove versi, di modo che una serie di essenziali particolari s'innesta e si rileva nel quadro generale, determinando un crescendo di rappresentazione e di tono che culmina nella rievocazione delle stigmate, passi dalla sete del martiro, che ne è preparazione, alla finale apoteosi. Qui anche le cose assumono una gigantesca nudità: come l'anima di Francescos ola con Dio; e il rupestree gioco della Verna è il crudo sasso, mentre Tevero e Arno, col loro solo nome, balzano solenni. E, senza una parola, quel crudo sasso, su cui in silenzio si compie il divino prodigio che Sigilla nei secoli la fede del Santo, grandeggia tra i due fiumi sacri alla gente italica: il Tevere che vide nascere Roma e l'Impero, l'Arno che fu culla della rinata civiltà italica nel Medioevo".S. Tommaso giunge infine all'ultimo grande atto della vita del snato, quello della dolce liberatrice sorella Morte:
[108] - [117]
Nel 1226 S. Francesco, che si trovava allora in Assisi, sentendosi prossimo a morire, si fece portare dal Palazzo vescovile alla sua diletta chiesa di Santa Maria degli Angeli (Porziuncola), e qui, dopo aver dettato il suo testamento, in cui raccomandò ai fratelli la "santa povertà", si fece stendere nudo sulla nuda terra, accettando le vesti solo quando gli furono offerte in prestito come a mendico."Dopo l'apoteosi delle stigmate - osserva ancora il Grabher - e in un altro ampio periodo di ben nove versi, Dante irporta Francesco all'umiltà della morte in grembo alla Povertà e a Dio. Ma è una nuova e sublime grandezza, in cui risplende l'anima preclara; e se il tono si rifà umile e pacato, senti che attinge tutta una interiore potenza fino al verso finale, che si chiude quasi in silenzio: come il gesto di Francesco raccolto per sempre con le braccia in croce sulla nuda terra, ma con gli occhi in Dio".
Dopo tantao onda di commozione, la poesia cede il posto al ragionamenteo e allìinvettiva.S. Tommaso, richiamadnosi al principio del suo discorso, trae argomento dalla mirabile vita di S. Francesco per esaltare il fondatore del proprio ordine, S. Domenico, degno collega del santo di Assisi:
[117] - [123]
La "barca di Pietro" è la Chiesa, raffigurata nella navicella di S. Pietro; e l'"alto mar" è il mondo con i suoi tempestosi perigli, e, in particolare, il mondo d'allora, traviato dalla confusione dei poteri e dalla cupidigia del clero.S. Tommaso passa quindi a flagellare, con parole fiere ed impetuose, i Domenicani degeneri, che si allontanano dalla regola del loro fondatore, e, correndo dietro ai beni mondani, non si acquistano meriti per la vita eterna:
[123] - [129]
Il "peculio" è, sotto forma figurata, lìOrdine domenicano; la "nova vivanda" è, secondo l'interpretazione dei più, il godimento di prebende, di onori, di alte cariche, ecc; i "salti" sono le diverse forme della degenerazione domenicana.S. Tommaso, nel suo affetto per il gregge domenicano, vorrebbe, se potesse, sminuire la gravità di quello sbandamento; ma sono così poche le pecore fedeli che egli, con brusco passaggio dal linguaggio figurato al linguaggio proprio, osserva amaramenteo come se ci vorrebbe poco panno a rivestirle:
[129] - [132]
Ora, - conclude S. Tommaso, a cui sta a cuore la dirittura logica del suo lungo discorso - se io ho parlato chiaro, se tu hai ascoltato con attenzione e se richiami alla mente quanto ho detto, il primo dei tuoi dubbi ti riuscirà chiaro:
[132] - [139]
La frase "perché vedrai la pianta onde si scheggia" ha dato luogo a due interpretazioni:a) i più, con maggiore aderenza al senso complessivo del passo, intendono: "perché vedrai per qual cosa lìOrdine domenicano si guasta".b) altri, meno bene, spiegano: "perché vedrai qual sia la pianta da cui io levo le scheggie", o, fuor di metafora, "perché vedrai che l'Ordine domenicano, per la sua corruzione, porse argomento alle mie parole".
La frase "vedrai il crregger che argomenta ha dato anch'essa luogo a due interpretazioni:a) i più, prendendo "corregger" per un infinito, intendono: "vedrai che cosa argomenti (o significhi) il correggere, che io ho fatto, la frase u' ben s'impingua' coll'aggiungervi la riserva ipotetica se non si vaneggia".b) altri, complicando il senso, prendono "corregger" per sostantivo, che dovrebbe significare "frate domenicano" (dalla correggia da cui è cinto), come cordigliero significa frate francescano, e spiegano: "vedrai che cosa abbia voluto dire il domenicano che ti parla (cioè io, S. Tommaso) con le parole u' ben s'impingua ecc".
mercoledì 20 giugno 2007
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